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Della solitudine su un'isola deserta

  • Immagine del redattore: Saz
    Saz
  • 24 mag 2017
  • Tempo di lettura: 4 min

Originally published on 24/05/2017 on Letteradonna.it, © NEWS 3.0 S.p.A. via Garofalo 31, 20133 Milano - P.IVA 07122950962   


Dedicato a tutti quelli che stanno scappando: avevamo tutti più o meno quell’età in cui non hai ancora deciso se mettere su famiglia o perderti per il mondo (Mediterraneo, 1991).


Quante volte ci siamo detti, esasperati dalla vita quotidiana, di volere tanto essere su un’isola deserta, senza nessuno intorno, solo il mare? Senza gente che invada il nostro spazio personale sui marciapiedi e sui mezzi pubblici; senza persone a cui badare, o essere obbligati a fermarci al supermercato e decidere cosa cucinare per cena; e soprattutto, senza doverci svegliare ogni mattina alla stessa ora per andare a scuola, all’università, in ufficio? Eccomi qui: sono sull’isola di Koh Muk sul mare delle Andamane in bassa stagione vacanziera, in giro ci sono pochissimi turisti e la popolazione locale è costituita più che altro da famiglie di pescatori thailandesi che vivono in case e capanne circondati da molta più immondizia di quanto mi aspettassi.

Al momento sto scrivendo seduta sulla palafitta di bambù di un chiosco a un paio di metri dal mare. Il bar è chiuso, ci sono solo il proprietario, Ches - un marinaio hippy che parla tre lingue e ascolta musica rock ‘n’ roll - e il suo cane che è venuto a dormire qui accanto a me.

I resort sono vuoti, la maggior parte dei ristoranti ha la porta serrata, ferme sono le barche ad alta velocità che fanno spola da un’isola all’altra durante l’alta stagione, ci si muove solo in long tail boat, barche di legno molto pittoresche. Siamo in Thailandia a maggio, inizio della stagione delle piogge: è nuvoloso un giorno sì e l’altro pure, dal cielo vengono giù certi acquazzoni che inumidiscono ancora di più l’aria già pregna di vapore, il mare è mosso e la sabbia ne impiastra le acque che così perdono il loro classico colore verde cristallino, quello che di solito vediamo sulle cartoline social di conosciuti e sconosciuti.





La Thailandia fuori stagione dà la stessa sensazione di quando si arriva a una festa troppo tardi, che stanno spegnendo la musica e hanno già acceso le luci, illuminando le coppie che pomiciano sui divani incrostati di cocktail rovesciati. Ammetto che questa storia dell’isola deserta non è proprioparadisiaca come ce l’hanno sempre raccontata nei film: è un’esperienza molto più solitaria di quanto credessi.

Mi sembra di avere gettato l’ancora in qualche posto remoto alla fine del mondo, come se qualcuno ci avesse dimenticati qui a combattere la nostra guerra in perfetta solitudine, come nel film Mediterraneo di Gabriele Salvatores.

Più ci spostiamo verso Sud più i turisti scompaiono e la giungla thailandese sembra diventare più verde, profonda, insidiosamente e meravigliosamente naturale. L’unica cosa che resta uguale sono i prezzi degli alloggi, sì neanche comparabili a quelli di alta stagione ma è davvero difficile persuadere i proprietari degli alberghi a farci pagare un po’ di meno, per non parlare dei barcaioli che ci portano da un’isola all’altra. Siccome dobbiamo risparmiare, mediamente spendiamo sei euro a testa a notte, dormendo nei più svariati tipi di alberghi: sull’isola di Lanta avevamo una bella stanzetta con aria condizionata, verandina con amaca, scooter; a Muk una casetta di bambù sulla spiaggia con ventilatore, bagno a tetto aperto, due biciclette e - credeteci o no - qui paghiamo due euro in più al giorno.


Il prezzo della natura, mi dico mentre passo un’altra notte in dormiveglia per l’assordante suono del temporale sul tetto di bambù e il mai sentito prima muggito delle rane toro che sono delle rane giganti che invece di gracidare muggiscono, per tutta la notte. Ogni giorno alle cinque di mattina inizia il chicchirichì dei galli, alle 6 mi arrampico fuori dalla zanzariera che circonda religiosamente il nostro letto e vado a vedere il sole sorgere sul mare. Faccio colazione con yogurt e mango, buonissimo perché siamo in stagione. Mi guardo allo specchio e mi accorgo dell’abbronzatura che piano piano sta cambiando il colore della mia pelle, con gentilezza e senza fretta, perché tanto ho tre mesi di tempo, non le solite due settimane di ferie, e quindi uso la protezione solare fattore 30 invece che 15.

Che giorno è? Giovedì. Che piani abbiamo? Andare a visitare Morakot Cave, cui si può accedere soltanto nuotando col cuore in gola in una grotta buia lunga 80 metri che apre a una spiaggia nascosta tra pareti di roccia e acque color smeraldo, in passato usata, si dice, dai pirati per nascondere i loro bottini. Poi andremo a pescare calamari con Ches.

Ripenso a tutto quello da cui sto scappando: alla prima volta in cui ho provato paura di avere preso la strada sbagliata; al fatto che a 30 anni ho deciso di perdermi nel mondo; alla sensazione di soffocamento che ho provato l’anno scorso seduta davanti a uno schermo a riempire di formule le celle Excel; alla mancanza d’aria e che mi spingeva ad andare a passeggiare al parco ogni giorno dopo il lavoro non appena le giornate si allungavano a primavera. Alla fine questa storia dell’isola deserta non è poi così male, anzi. Spazi e silenzi estendono i pensieri, la mente scorre libera dalle costrizioni della routine. Al resto ci pensa il mare e il ritmo diverso che dà al nostro tempo.



Partire non risolve le cose, i problemi e i dubbi che abbiamo ce li portiamo tutti dietro e restano con noi mentre continuiamo a combattere le stesse battaglie. Stare meglio se non si è stati bene per tanto tempo non succede all’improvviso, solo perché si è seduti a un chiosco davanti al mare a guardare il tramonto. Le soluzioni (e a volte anche le idee geniali) arrivano solo dopo una lunga incubazione, spesso inconsapevole. Serve tempo.

E io non sono stata via neanche lontanamente abbastanza per poter guardare la mia vita tra Londra e Milano a distanza, per azzardare futuri e prendere decisioni importanti. Per ora sono qui, su un’isola (quasi) deserta e il tempo che ho a disposizione per me si dilata, si moltiplica. È un inizio e soprattutto è un’occasione di felicità che va colta. Inforco la bicicletta ed esco a fare un giro, da sola, pedalando tra la spiaggia e la giungla.


Stasera mangeremo granchio e calamari e per la prima volta nella mia vita quello che avrò nel piatto l’avrò pescato io.


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